17 aprile 2020
Oggi, in un calcio fortemente codificato tatticamente e dagli spazi ristretti, lo spazio per l'istinto dei bomber esiste ancora, ma è certamente confinato in un'area particolare, quella della soluzione improvvisa che può risultare sorprendente. Nel passato, invece, a guidare prevalentemente la logica del gioco di un attaccante era una sorta di ossessione: la porta. Il punto di riferimento di ogni movimento, appena era possibile – e talvolta anche quando non lo era – si cercava la conclusione. In altri termini, si sentiva la responsabilità di fare gol e di arrivarci per via diretta, il più in fretta possibile, trovando il modo di inquadrare il bersaglio: del resto, raramente un centravanti veniva giudicato per la sua partecipazione alla manovra o per la capacità di dialogo con i compagni, a contare era il numero dei gol e l'egoismo diventava una virtù sul terreno di gioco, laddove nella vita normale viene censurato come un difetto.
A cambiare questa grammatica sulla quale si fondava il linguaggio calcistico, insieme ad allenatori competenti ed innovatori, ci pensarono i cosiddetti “centravanti di movimento”. Attaccanti capaci di svariare su tutto il fronte offensivo e di scompaginare le rigide maglie difensive fondate sulla marcatura a uomo. Giocatori che riuscirono a essere ottime sponde per i partner d'attacco salvaguardando contemporaneamente il dna di un vero numero 9 che possiede un radar interno e sa – in ogni dove – dove si trovi esattamente all'interno dell'area di rigore.
Pietro Anastasi è stato il primo grande rappresentante di questo nuovo status. E Juventus-Milan del 29 marzo 1970 ne è una raffigurazione esemplare.
IL PRE PARTITA
Ci sono alcune condizioni perché questa sfida alla quintultima giornata di campionato diventi “la” partita per definizione di Pietruzzu.
Intanto, la voglia di riscatto: la Juve, impegnata in una difficile rimonta sul Cagliari avviato a vincere il suo primo e unico scudetto della storia, deve uscire da un periodo zoppicante, una sequenza di 3 pareggi e una sconfitta.
Anastasi concorre per la possibile convocazione al Mondiale messicano e ha bisogno di mettersi in mostra (e il pezzo di Hurrà Juventusinsisterà proprio su questo).
Il Milan è malmesso in difesa, fa esordire un diciottenne, Cesare Cattaneo, cresciuto nel club. Un esame difficile per lui, anche se alla vigilia dichiara la sua tranquillità, non intuendo che la domenica torinese sarà la sua unica apparizione in maglia rossonera in Serie A, campionato che ritroverà 9 anni dopo con l'Avellino.
Infine, prima del fischio d'inizio Pietro riceve il Premio De Martino come miglior giovane della stagione precedente. Per il centravanti della Signora è pura benzina. «Il premio mi ha entusiasmato», confesserà Anastasi a fine partita. “Con due gol credo di essere riuscito ad onorarlo».
IL GENIO ACROBATICO
Già dalle prime battute dell'incontro, Anastasi appare scatenato. Si presenta subito con una improbabile girata di testa da corner: la sfera va molto alta, ma è indicativa della voglia di lasciare un segno nel match. Poco dopo, da fuori area, nonostante Cattaneo lo marchi stretto, riesce a girarsi e a concludere pericolosamente, anche se il portiere Cudicini non si fa sorprendere.
Sono le prove generali per i due gol che arrivano ai minuti 21 e 23. Due reti che hanno il marchio dell'implacabilità. La prima sfrutta una corta respinta di Fontana: palla in aria, Pietro inventa una rovesciata stilisticamente impeccabile dalla quale nasce un tiro imparabile. E' la sublimazione dell'istinto, la realizzazione di un capolavoro da una minima possibilità. Quindi, su una punizione di Helmut Heller, brucia sul tempo il suo diretto controllore, ancora in stato di shock evidentemente, e con una torsione di testa indirizza il pallone sul palo più lontano.
Il definitivo 3-0 è opera di Lamberto Leonardi, un tiro al volo che dimostra come il coraggio, in certe giornate, sia l'elemento guida che porta una squadra a sonanti vittorie.
All'epoca, sul mensile bianconero, si riproduceva la rassegna stampa delle partite. I giudizi e le analisi duravano nel tempo e – nel caso di Pietro – oltre che allungare il tempo della cronaca si collocano direttamente in quello della storia. La sottolineatura delle sue qualità, infatti, va ben oltre quel giorno e valgono come definizione della sua carta d'identità calcistica. Si cita il suo “genio acrobatico”, lo si definisce “il centravanti che cade e rimbalza”, si sottolineano le sue “cento azioni fantasiose” e lo si racconta come uno di quei calciatori “baciati in fronte da madre natura per guizzare con successo l'area dove la terra brucia”.